L’impagliatura del fiasco
Il fiasco a Piegaro veniva fabbricato fin dal 1400 e forse anche prima.
La lavorazione del fiasco impagliato a Piegaro iniziata presumibilmente in quel periodo, è continuata fino agli anni 70 del secolo scorso. Tra i vicoli del paese si potevano vedere tre generazioni di donne al lavoro, d’estate davanti alle porte delle proprie abitazioni, d’inverno all’interno, magari davanti al caminetto acceso. Lavoravano anche 15 ore al giorno per poter sostenere la propria famiglia. Sedute su piccole sedie per tenere il meglio il fiasco tra le ginocchia, con le mani rovinate, accanto al ballotto (fagotto o fastello) di scarcia, eseguivano alla perfezione il proprio lavoro. Gli unici strumenti utilizzati erano un paio di forbici, dei grandi aghi di varia forma e misura e la scarcia e la pajola, le materie prime necessarie all’impagliatura del fiasco, che venivano raccolte intorno alle pedate del lago Trasimeno. La scarica doveva essere bagnata e avvolta in apposite “balle” affinchè non si spezzasse nell’uso e non tagliasse le mani della fiascaia.
Le tecniche di lavorazione erano due: quella del fasciato, fatto con foglie di scarcia inserite verticalmente tra il fondo e la spalla del fiasco, e quella detta a giro, che partendo sempre dal fondo del fiasco risaliva attraverso una specie di corda formata da foglie intrecciate e fissata con delle strisce in verticale.
Breve storia del fiasco
Le origini e la nascita del fiasco sono ancora sconosciute, tra il Trecento e il Quattrocento, comunque il fiasco di metallo e di stagno lasciarono il posto a quello in vetro: un vaso tondo e corpacciuto, senza piede e ricoperto di scarcia, un erba palustre essiccata al sole.
Si trovano notizie di fiascai nel 1321 in Toscana, da alcuni manoscritti risulta che tenevano la scarcia nelle loro botteghe e figuravano come membri nell’Arte dei Medici e Speziali.
Nei manoscritti toscani del Quattrocento, troviamo le misure dell’epoca: un fiasco grande, chiamato “quarto”, corrisponde a 5,7 litri, uno medio detto di “mezzo quarto”, corrisponde a 2,28 litri, e uno “piccolo” a 1,4 litri. Il fiasco all’epoca era diverso da come siamo abituati a vederlo ora, l’impagliatura era verticale e ricopriva tutto il collo.
Nel Cinquecento ci fu la necessità di una regolamentazione in merito alla capacità dei fiaschi. In un bando del 1574 troviamo scritto che il fiasco deve essere di misura “mezzo quarto” e contenere 2,28 litri. veniva addirittura applicato un marchio di piombo sul rivestimento di paglia, come garanzia dell’effettiva capienza del recipiente. Ma il bollo spesso veniva tolto da recipienti rotti e usato per i nuovi, bastava infilare fiaschi nuovi, a volte anche più grandi, dentro vesti già bollate. Per rimediare alle frodi nel, 1626, si stabilì di apporre il bollo a caldo direttamente sul fiasco. Per questa ragione il fiasco cambia il suo aspetto, l’impagliatura viene eseguita lasciando libero il collo e parte della spalla.
Nel 1700 si comincia a disporre l’impagliatura per fasce orizzontali e nella seconda metà dell’Ottocento, si rinforza la base con una ciambella.
Nel 1914, un Regio Decreto riconosceva piena legalità al fiasco tradizionale che fu esentato dal bollo di capacità.
Le impagliatrici di Piegaro
Il lavoro delle impagliatrici piegaresi è stato fondamentale per l’economia del paese.
Strettamente legato alla produzione di fiaschi sia delle fabbriche piegaresi ma anche delle vicine località toscane, l’arte dell’impagliatura si largamente è diffusa negli ultimi due secoli a Piegaro ma anche nei paesi limitrofi.
Associazione Culturale “Il Borgo”
Ancora oggi a Piegaro, l’Associazione Cuturale “Il Borgo” si occupa di mantenere viva l’antica tradizione dell’impagliatura del fiasco.
Durante le manifestazioni che si svolgono nel territorio le impagliatrici piegaresi danno dimostrazione dell’antico lavoro tutto al femminile di rivestizione del fiasco.
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